E le società cadono come nespole… (cit. biscardiana)

admincalciovero 22 Luglio 2015 0

di EMILIO PIERVINCENZI

Scrivo nel triplice ruolo di editore, direttore (di ilcalciovero.it) e presidente del Montecelio 1964, gloriosa società dell’area tiburtina che ha festeggiato lo scorso anno i suoi primi cinquant’anni e che per il terzo anno consecutivo si è iscritta al campionato regionale di Eccellenza. Scrivo dopo aver letto che anche il Sora ha deposto le armi. Lo aveva già fatto il Terracina. Sia pure in modo diverso anche la Sorianese è scomparsa dai tabelloni dell’Eccellenza. Credo la stessa cosa sia capitata al Futbol. E non parliamo dei prof, dal Varese al Monza e tante altre squadre del sud. 
Un fenomeno che preoccupa chi ama il calcio della provincia, quel calcio che magari non eccelle in valori tecnici ma che significa molto per le cittadinanze, per cementare amicizie e rinfocolare sfottò. Quell’Italia che sapeva di pane fresco e non di alimenti surgelati, la domenica si ritrovava alle 10.30 (oggi le 11) a tifare su spalti scrostati, campi in terra battuta da giocatori con scarpe da calcio non si sa se più brutte o più scomode, e poi pali e traverse quadrati, le giacchette nere…
Insomma quell’Italia del calcio che non c’è più oggi regolarmente si ritrova a certificare la morte di una società di provincia. Quali sono i motivi?Proviamo a metterci dentro il naso. I costi, ovviamente. Tenere in piedi una società di calcio ha costi esageratamente alti per i presidenti. Prendiamo il mio Montecelio. Per iscriverlo al campionato ho dovuto bonificare circa 8mila euro. Avete letto bene: 8mila euro! A che cosa servano questi 8mila euro non so bene. A pagare la terna, a tenere in piedi l’organizzazione arbitrale, a pagare gli stipendi e a tenere in piedi l’organizzazione del Comitato, e poi? I campi dobbiamo pagarli noi (al Comune o a privati), le spese anche, e non parliamo dei rimborsi ai calciatori, categoria quest’ultima che continua a non rendersi conto della situazione economica in cui versa il Paese e, di conseguenza, il calcio, dilettantistico o professionistico che sia.
E allora, che si può fare? Restando intatta la passione di noi Presidenti, leggi remissione di diverse migliaia di euro a stagione, bisognerebbe che tutti capissero – istituzioni, organizzazioni, addetti ai lavori – che il Paese ha bisogno di sacrifici. Che se vuoi continuare a tenere in vita il giocattolo e a non recitare continuamente de profundis a questa o quell’altra società, devi tagliare. E tagliare tanto. Tutti siamo chiamati a sopportare nuovi sacrifici, nessuno è escluso. Dal presidente del Comitato Zarelli all’ultimo dei magazzinieri. E ai giocatori dico: abbassate le vostre pretese, o non vi resterà che il marciapiede per continuare a giocare al calcio…
 
 

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